UNA NUOVA APARTHEID
Posted: Gennaio 16th, 2009 | Author: labomar | Filed under: ARTICOLI | Commenti disabilitati su UNA NUOVA APARTHEIDBoicottaggio, disinvestimenti e sanzioni: ecco perché li propongo contro Israele
di Naomi Klein
2. Israele non è il Sudafrica. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (proteste, petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Infatti restano reminiscenze dell’apartheid desolanti: documenti di identità con codici colorati e permessi di viaggio, case spianate dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, noto politico sudafricano, ha detto che l’architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è «infinitamente peggiore dell’apartheid».
3. Perché mettere all’indice solo Israele, se Usa, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata con Israele è pratica: in un paese così piccolo e dipendente dal commercio potrebbe funzionare.
4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c’è bisogno di più dialogo, non meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato Shock Economy ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice militante, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l’unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce tutti i proventi a Andalus e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l’economia di Israele, ma non gli israeliani. Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza city. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D’altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta anti-apartheid ricordano bene. L’argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l’un l’altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostredita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l’uno con l’altro oltrei confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.Tornando a noi, cisaranno degli orgogliosi sionisti che pensano di poter segnare un punto a lorofavore: forse non so che molti di quei giocattoli super high-tech provengono daparchi industriali israeliani, leader mondiali nell’Infotech? Abbastanza vero,ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l’assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey,direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «Causa l’azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di fare affari con voiné con qualsiai altra società israeliana». Quando è stato interpellato da TheNation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non era politica. «Nonpossiamo permetterci di perdere nessuno dei nostri clienti: si tratta di una difesa esclusivamente commerciale». È stato questo tipo di freddo calcolod’affari che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sudafrica due decennifa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza diportare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.
* Testo scritto per The Nation, pubblicato sul sito www.naomiklein.org e sul sito del manifesto.