LA VOLONTÀ CHE UCCIDE
Posted: Novembre 19th, 2008 | Author: labomar | Filed under: ARTICOLI | Commenti disabilitati su LA VOLONTÀ CHE UCCIDE
di LORIS CAMPETTI
Si lavora per vivere ma di lavoro si muore. Tutti i giorni, senza sconti, quasi senza sorpresa, spesso senza indignazione. Un solo dubbio: le vittime quest’anno saranno 1.200 o 1.400? Troppe volte chi ha la responsabilità degli omicidi sul lavoro se la cava con una tirata d’orecchie, una multarella e può continuare ad anteporre i suoi profitti alla salute di chi gli consente di realizzarli.
Ieri sono successe due cose, la prima, cinicamente parlando, «normale»: in una fabbrica di gomma alla periferia di Bologna sono stati uccisi due lavoratori e altri tre feriti per l’esplosione di una mescola che stavano preparando. Le vittime rappresentano il tetto e la base dell’organizzazione del lavoro, il direttore e un operaio indiano con una busta paga da 1.100 euro al mese. Tutti e due (ex) risorse umane, come si dice oggi per mortificare il lavoro.
Il secondo evento, invece, è straordinario e potremmo aggiungere straordinariamente positivo, se il contesto che l’ha determinato non fosse una delle peggiori stragi di operai che questo disgraziato paese ricordi. Il gup di Torino ha accettato per intero la richiesta del procuratore Raffaele Guariniello che chiedeva il rinvio a giudizio dell’amministratore delegato della ThyssenKrupp per «omicidio volontario con eventuale dolo». Per la prima volta un tribunale italiano si esprimerà sull’ipotesi che la responsabilità degli omicidi non sia soltanto individuale ma dell’azienda, e che chi è colpevole abbia agito conoscendo il rischio imposto ai suoi dipendenti pur di ridurre le spese sulla sicurezza dell’impianto e degli addetti. Meno costi più incassi. I dirigenti della multinazionale tedesca sapevano ed erano responsabili dell’esistenza di tre livelli di sicurezza.
Il livello massimo (cioè il minimo per garantire chi lavora) in Germania, uno appena tollerabile alle acciaierie di Terni e infine uno inaccettabile nello stabilimento torinese condannato alla chiusura, e non si potevano spendere soldi per cambiare gli estintori in una fabbrica già condannata, come chi ci lavorava. Altro che distrazione dei lavoratori, come blaterano senza dignità e senza pietà i nostri imprenditori, si muore per decisione consapevole del padrone e di chi trasmette i suoi ordini per garantirgli i profitti. Certo non la sicurezza che costa un sacco di soldi.
Il rinvio a giudizio dei presunti responsabili della morte di sette operai non ridurrà il dolore di madri, mogli, figli, fidanzate delle vittime. Non restituirà il sorriso ai loro compagni. Semplicemente non ucciderà una seconda volta quei sette operai, e terrà accesa la speranza nella possibilità di far sapere a tutti la verità. Non è poco avere un po’ di giustizia, bene sempre più raro come insegna Genova.
Ma la gioia finisce qui, dovendo fare i conti con un governo che cancella ogni vincolo all’impresa, asfaltando in questo modo la strada che porta gli operai al cimitero, o all’ospedale.
il manifesto – 18-11-2008