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POLITICA NELL’ANGOLO TUTTO IL POTERE E’ DELL’ECONOMIA di Luciano GALLINO

Posted: Novembre 16th, 2008 | Author: | Filed under: POLITICA | Commenti disabilitati su POLITICA NELL’ANGOLO TUTTO IL POTERE E’ DELL’ECONOMIA di Luciano GALLINO

Repubblica — 15 novembre 2008

Allo scopo di rinnovare la classe politica sarebbe necessario rinnovare anzitutto il terreno al quale la politica si applica. Negli ultimi decenni tale terreno si è contratto, mentre i suoi contenuti divenivano estranei all’ agire politico in generale, sia dei cittadini che dei loro eletti. In Italia è intervenuta come in altri paesi una nuova "grande trasformazione", nel senso che Karl Polanyi vi dava più di sessant’ anni fa. L’ economia è esondata. E’ uscita dal suo alveo di strumento indispensabile per la sussistenza umana imponendosi alla società come fine ultimo. La società è stata così trasformata in accessorio dell’ economia. Da qui deriva la sterilità della politica: se il terreno su cui si applica è occupato per intero da problemi come i decimi di punto del Pil, la competività, il debito pubblico, l’ andamento delle borse, lo stato di salute delle banche, i politici vengono trasformati in amministratori. Prendono nota delle grandezze economiche in gioco, e provano a farle quadrare manipolando quelle poche variabili sui cui credono di poter incidere. Da parte loro i cittadini sono declassati a incompetenti che non hanno alcun titolo per intervenire nella cosa pubblica. L’ economia posta al disopra della società richiede tecnici, esperti, sapienti, periti, tutti dotati di competenze superiori. I politici stessi assumono direttamente questi ruoli, o reclutano il personale adatto dall’ esterno. L’ eliminazione delle preferenze dalle liste elettorali è solo uno dei segni che attestano la superfluità dei cittadini. Lo svuotamento del terreno della politica è specialmente evidente nella privatizzazione dei beni pubblici condotta in larga parte dalla destra con l’ assenso del centrosinistra. La privatizzazione è ben più di una mera ideologia economica, ha scritto un noto politologo, Benjamin Barber. "Fraintende il concetto di libertà e in tal modo distorce quel che intendiamo per libertà civica e cittadinanza, spesso ignorando e talvolta scardinando il significato stesso di beni pubblici e di pubblica prosperità". I beni pubblici dovrebbero essere il terreno di elezione della partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica. Escluderli da esso mediante le privatizzazioni erode tanto la libertà quanto la democrazia. Una classe politica rinnovata dovrebbe avere tra i suoi primi scopi l’ allargamento della partecipazione dei cittadini, insieme con il rientro dell’ economia nel suo alveo di strumento di cui la società decide gli impieghi, piuttosto che subirla come una padrona. Conosciamo bene l’ obiezione. Al tempo in cui l’ economia mondiale rischia di crollare, occorrono drastici rimedi economici, che i cittadini debbono accettare. Se non fosse che qui siamo dinanzi a un rovesciamento del rapporto tra cause ed effetti. E’ stata l’ abdicazione della politica, il porsi diligentemente al servizio dell’ economia, che ha prodotto i disastri economici cui stiamo assistendo. Sono le leggi che la politica ha varato, in una con la sua assenza di scopi da porre all’ economia: produrre tramite il lavoro più sicurezza umana piuttosto che insicurezza, ridurre gli abissi delle diseguaglianze, estendere la fruizione dei beni pubblici al maggior numero. Questi stessi disastri offrono una grande occasione: quella di una ri-trasformazione dei rapporti tra economia e società in forza della politica. Ma non è immaginabile che prima si rinnovi la classe e dopo il terreno della politica. Occorre prima rinnovare questo, allargando gli spazi di partecipazione dei cittadini a tutti i livelli. Cominciando con l’ invertire il processo di privatizzazione dei beni pubblici. Aprendo all’ elettorato, a livello comunale, regionale e nazionale, i consigli dove si decide la gestione di questi. Provando a ragionare di politiche economiche e sociali fondandosi non solo sul Pil, ma anche su indicatori come lo Sviluppo Umano dell’ Onu. E perché no, chiedendo ai media di spiegare senza ambiguità le origini politiche della cosiddetta crisi finanziaria.


 


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